Vibo Valentia: Arrestato il latitante Gregorio Giofré ricercato dal 19 dicembre 2019

Nascosto in casa di un presunto affiliato alla propria cosca, protetto da un complesso dispositivo di video-sorveglianza. Il latitante Gregorio Giofré è stato arrestato nella notte, dai carabinieri del Ros del Comando provinciale di Vibo Valentia e dello Squadrone eliportato Cacciatori di Calabria, coordinati dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro, a seguito di un intervento eseguito in un’abitazione rurale nelle campagne di contrada Batia, di San Gregorio d’Ippona, in provincia di Vibo Valentia.
Il 57enne era ricercato dal 19 dicembre 2019, a seguito dell’ordinanza cautelare emessa dal Gip di Catanzaro, nell’ambito dell’operazione Rinascita – Scott, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro che ha coinvolto le maggiori cosche di ‘ndrangheta del vibonese. Secondo le indagini che hanno portato all’arresto di 334 soggetti, responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, omicidio, traffico di stupefacenti, estorsione, riciclaggio ed altri gravi reati, Gregorio Giofré sarebbe un’esponente apicale della locale di San Gregorio d’Ippona, imparentato con Rosario Fiarè, storico capo locale, attualmente in regime di detenzione domiciliare.

Dopo la cattura di Saverio Razionale e Gregorio Gasparro, avvenuta lo scorso 19 dicembre 2019, Giofré era il più importante esponente della struttura mafiosa ancora in libertà. La locale di San Gregorio d’Ippona, sin dagli anni ’80, è stata fedele ai Mancuso di Limbadi ed i suoi più influenti appartenenti sono stati centrali per consentire ai Mancuso stessi la gestione unitaria della ‘ndrangheta vibonese.
Secondo l’ipotesi accusatoria, avvalorata anche dalle dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia, Gregorio Giofré, indagato per associazione mafiosa ed una serie di condotte estorsive, aggravate dal metodo mafioso, aveva il compito organizzare la riscossione delle estorsioni agli imprenditori secondo un sistema centralizzato, valido per tutta la provincia, che consentiva alla cosca di accaparrarsi il 3% del valore dei lavori in corso.

Il denaro estorto veniva poi diviso tra la locale competente nel luogo in cui il lavoro veniva eseguito e quella di competenza del luogo di provenienza dell’imprenditore, secondo dinamiche che consentivano l’alimentazione di una bacinella comune. Giofré costituiva, nel settore, anche il punto di riferimento ultimo per le interlocuzioni con esponenti delle cosche della ‘ndrangheta di diverse province che conoscevano il suo ruolo e gestivano l’azione estorsiva secondo un modello che conferma l’unitarietà dell’organizzazione mafiosa calabrese, non solo dal punto di vista formale, ma anche sostanziale.
(Mit/Adnkronos)

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