Roma, 3 feb. (Adnkronos) – La Procura di Roma ha chiuso le indagini sulla maxi inchiesta ‘Propaggine della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma contro la prima ‘locale di ‘ndrangheta nella Capitale. A rischiare il processo, dopo la notifica del 415bis, 67 indagati tra i quali i due boss che secondo quanto ricostruito dalle indagini erano al vertice dell’organizzazione criminale, Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria.
Nell’inchiesta, coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò con i pm Giovanni Musarò, Francesco Minisci e Stefano Luciani, vengono contestate, a vario titolo, le accuse di associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa.
La ‘locale operava a Roma dal 2015 dopo avere ottenuto l’investitura ufficiale dalla casa madre in Calabria. “Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto”, dicevano in un’intercettazione gli indagati. E nelle conversazioni riportate nell’ordinanza del gip alcuni degli indagati facevano riferimento proprio al lavoro di alcuni magistrati e poliziotti che avevano lavorato prima in Calabria e poi a Roma: “c’è una Procura… qua a Roma … era tutta …la squadra che era sotto la Calabria. Pignatone, Cortese, Prestipino;”e questi erano quelli che combattevano dentro i paesi nostri …Cosoleto … Sinopoli… tutta la famiglia nostra…maledetti”. A Carzo, nell’avviso di conclusione delle indagini, atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, viene contestato il ruolo di promotore, avendo ricevuto dall’organo collegiale di vertice ‘ la Provincia l’autorizzazione alla costituzione della locale di Roma, e quello di direzione insieme a Vincenzo Alvaro. In particolare Alvaro, secondo gli inquirenti, è capo di una ‘costola del sodalizio composta, tra gli altri, da cognati, nipoti, e altri soggetti, così come Antonio Carzo che ne capeggia un’altra insieme a due figli.
(Asc-Dan/Adnkronos)