‘Ndrangheta: boss Maurizio Cortese collabora con i pm

(ANSA) – REGGIO CALABRIA, 11 NOV – «È vero che comunicavo al
telefono dal carcere, ma ero molto attento a non espormi troppo
per timore di un monitoraggio investigativo». Il boss Maurizio
Cortese, indicato dagli investigatori come il reggente della
cosca Serraino, tra le più potenti della ‘ndrangheta, ha
iniziato a collaborare con la giustizia e non ha fatto mistero
della sua capacità di gestire la cosca anche dal carcere. Il
neo-pentito sta confermando le risultanze investigative della
Dda di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, che con
l’operazione «Pedigree» aveva arrestato lui e la moglie Stefania
Pitasi, figlia del boss Paolo Pitasi e ritenuta la «portavoce”
del marito nei lunghi periodi di detenzione.
La notizia che Cortese aveva deciso di collaborare con la
giustizia era nell’aria da giorni – nelle scorse settimane il
massmediologo Klaus Davi aveva scritto su facebook del suo
possibile pentimento venendo attaccato dal difensore del boss
Amira Cannizzaro – ma adesso i suoi verbali sono stati
depositati in un’udienza legata all’operazione «Pedigree».
Attraverso i colloqui con la moglie e grazie ad alcuni cellulari
fatti entrare illecitamente nel carcere di Torino, Cortese
riusciva a dare indicazioni agli affiliati e a gestire gli
affari della cosca Serraino. Le sue dichiarazioni, rese negli
interrogatori del 15 e 23 ottobre, adesso sono al vaglio del pm
Stefano Musolino che, assieme a Walter Ignazitto, Sara Amerio,
Paola D’Ambrosio e Diego Capece Minutolo, ha coordinato
l’inchiesta «Pedigree».
Al magistrato, Cortese ha confermato di voler saltare il
fosso e ha parlato di alcuni personaggi ritenuti vicini ai
Serraino: «Nino Fallaca – si legge in un verbale – fino a quando
ero libero, non faceva parte della cosca. Si metteva a
disposizione, nel senso che mi rivolgevo a lui per l’acquisto di
materiale edile che non mi faceva pagare, ma io non ho avuto
relazioni criminali con lui. Suo fratello detto ‘il banchierè
era invece espressione della cosca».
Cortese ha raccontato di un episodio relativo a un
danneggiamento avvenuto a Vinco nel reggino, in un immobile di
una persona di Rosarno, vicina ai Bellocco. Questi – dice il
collaboratore – «si rivolsero a me. I rosarnesi mi avevano
chiesto di intervenire presso Fallanca per trattare bene il
proprietario: Fallanca mi fece presente che in realtà i suoi
debiti erano assai inferiori e comunque si disse disponibile a
rispettarlo». Il boss ha parlato anche di soggetti arrestati nel
secondo troncone dell’inchiesta «Pedigree» quando è finito in
manette anche il poliziotto ed ex assessore comunale di Reggio
Calabria Seby Vecchio. Nel verbale non ci sono riferimenti sul
politico, ma, tra un omisiss e l’altro, ci sono stralci sugli
altri arrestati.
Il nuovo collaboratore di giustizia è stato già condannato in
via definitiva nel processo «Epilogo» e dopo un periodo di
latitanza, nel 2017 era stato catturato dalla squadra mobile e
dai carabinieri. Oggi quarantenne, stando alle indagini, Cortese
era riuscito a scalare le gerarchie della cosca intrattenendo
legami anche con gli esponenti delle altre famiglie di
‘ndrangheta come i Labate detti «Ti Mangiu» e Gino Molinetti dei
De Stefano-Tegano, recentemente arrestato nell’ambito
dell’operazione «Malefix». (ANSA).

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