Giudice pagato per scarcerare ndranghetisti, indagato anche un avvocato

(ANSA) – CATANZARO, 1 GIU – Corruzione in atti giudiziari
aggravata dal metodo mafioso e concorso esterno in associazione
mafiosa. Sono le accuse che vengono contestate all’avvocato
Armando Veneto, noto penalista del Foro di Palmi, e, a vario
titolo, a Domenico Bellocco, alias «Micu u longu», Vincenzo
Puntoriero, Gregorio Puntoriero, Vincenzo Albanse, Giuseppe
Consiglio, Rosario Marcellino. Ai sette è stata notificata la
conclusione delle indagini preliminari a loro carico da parte
della Dda di Catanzaro. I fatti risalgono al 2009 e riguardano
anche il giudice Giancarlo Giusti (morto suicida a marzo del
2015) che, stando alla ricostruzione dell’accusa, in qualità di
componente del Tribunale del Riesame di Reggio Calabria,
nell’udienza del 27 agosto 2009, annullò l’ordinanza di
carcerazione emessa dal gip nei confronti dei componenti della
cosca Bellocco, arrestati nel corso dell’operazione «Rosarno è
nostra 2». In cambio del provvedimento favorevole, secondo
l’accusa, il giudice avrebbe ottenuto 120 mila euro (40mila euro
ciascuno) dai tre indagati favoriti, individuati in Rocco
Bellocco, Rocco Gaetano Gallo e Domenico Bellocco, 43 anni, con
l’intermediazione di Armando Veneto, Gregorio Puntoriero,
Vincenzo Puntoriero.
Secondo gli inquirenti, Veneto,Vincenzo Puntoriero, Gregorio
Puntoriero, Vincenzo Albanse, Giuseppe Consiglio e Rosario
Marcellino avrebbero favorito la cosca Bellocco ponendosi quale
trait d’union tra la cosca e il giudice del Riesame con
conseguente scarcerazione di tre di essi, collocati ai vertici
del sodalizio, contribuendo «a garantire la prosecuzione della
vita dell’associazione di ‘ndrangheta ed in particolare della
cosca Bellocco, per poter riaffermare e rafforzare il potere
della stessa attraverso la ripresa operativa sul territorio dei
ruoli che ciascuno dei tre soggetti posti in liberta vi
ricopriva, con inevitabile vantaggio della associazione mafiosa,
peraltro in un frangente di particolare fibrillazione interna al
sodalizio criminale, determinato dall’intervento repressivo
dell’autorità giudiziaria, volto ad arrestare l’agire contra
legem dei sodali della cosca, funzionale al raggiungimento degli
scopi associativi della cosca stessa». (ANSA).

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