Ha aperto le relazioni Mario Caligiuri, che è intervenuto su “Andreotti e l’intelligence”, fornendo un inquadramento storico per ricordare la necessità che gli uomini di Stato siano necessariamente anche “uomini di intelligence”, in quanto è uno strumento fondamentale per tutelare l’interesse nazionale. Caligiuri ha ripercorso le tappe del politico democristiano, mettendo in luce le relazioni e i rapporti con l’intelligence, in una fase segnata dalla guerra fredda che ha condizionato la storia d’Italia e del mondo.
L’intervento di Paolo Gheda, dell’Università della Valle d’Aosta, si è concentrato sul ruolo politico di Andreotti agli Affari Esteri durante la Guerra Fredda, prendendo in particolare riferimento il suo approccio alle funzioni dell’intelligence e
alle strategie diplomatiche. A tale riguardo, Gheda ha evidenziato l’importante rapporto tra Andreotti ministro e gli ambasciatori Maccotta prima, e Sergio Romano poi, sottolineando come le esperienze di carattere diplomatico dello statista democristiano si debbano far risalire alla prima fase del suo impegno politico, in particolare al suo incarico di responsabile dell’Ufficio Zone di Confine su mandato diretto di Alcide De Gasperi. Gheda ha concluso sottolineando come Andreotti si sia rapportato sempre come uomo di Stato prima ancora che come politico anche nell’ambito delle strategie diplomatiche e d’intelligence del suo Paese.
Vera Capperucci, dell’Università LUISS di Roma, ha sviluppato il tema “Tra partito e governo. Ruolo di Andreotti dal Centro Sinistra alla Solidarietà Nazionale”. In tale quadro, ha evidenziato come il politico democristiano si sia caratterizzato oltreché che come uomo di Stato anche di partito, nei suoi ruoli di responsabilità politica nel quadro della Prima Repubblica.
Ha concluso la prima sessione Stefano Andreotti, che introdotto e quindi letto alcune pagine inedite dai diari del padre, ricordando i casi emblematici di Guido Giannettini, il giornalista e informatore del SID coinvolto nella strage di Piazza Fontana, ed il caso Mi.Fo.Biali, collegato al tentativo di nascita del Nuovo Partito Popolare da parte di Mario Foligni, con gli eventuali proventi derivanti dal traffico di petrolio con la Libia, da realizzare anche attraverso contatti con la Guardia di Finanza.
La sessione pomeridiana è stata animata da Luca Micheletta, dell’Università “La Sapienza” di Roma, che ha approfondito il tema dell‘Intelligence italiana e delle relazioni con la Libia di Gheddafi durante la guerra fredda. In tale contesto, ha messo appunto in risalto i rapporti tra Andreotti e Mu’ammar Gheddafi, mantenuti sempre costanti e tendenzialmente pacifici. E questo anche e soprattutto di fronte alle pressioni americane e francesi volte a sovvertire il regime libico, tutelando in questo modo gli interessi commerciali ed energetici del nostro paese. A tale riguardo Micheletta ha messo in evidenza il ruolo fondamentale dell’intelligence italiana per la ripresa degli accordi commerciali con la Libia, dopo il bombardamento di Lampedusa del 1986.
L’ultima relazione è stata svolta da Tito Forcellese, dell’Università di Teramo, dal titolo “I governi Andreotti negli anni Settanta: uso delle informazioni tra diplomazia e politica”, rilevando come l’uomo di governo democristiano sia stato una figura rilevante nello scacchiere internazionale degli anni Settanta, poiché, proprio grazie all’efficiente uso delle informazioni, ha saputo riservare all’Italia un ruolo di spicco. Secondo Forcellese, il nostro Paese ha svolto importanti mediazioni durante la fase di distensione della guerra fredda, come le intese per la riduzione degli armamenti e i lavori preparatori dei decisivi accordi di Helsinki.
Il convegno si è concluso con un ampio dibattito tra studenti e relatori, in cui sono stati affrontati temi quali lo scandalo Lockheed e la vicenda P2.
Di interesse anche l’approfondimento sul rapporto tra i nostri servizi e la Libia nel corso degli anni. Infine, Stefano Andreotti ha ricordato che, nonostante i costanti rapporti istituzionali e la consapevolezza dell’importanza dei Servizi per gli Stati democratici, Giulio Andreotti nutriva qualche diffidenza verso l’intelligence, tanto da affermare nel periodo della guerra fredda che “se per due anni avessero chiuso i servizi segreti in Italia le cose probabilmente sarebbero andate meglio”.